[SAVE “COMPUTERS”] Intervista ad Al Alcorn, il padre di Pong
Allan Alcorn
“L’ultima cosa che mi sarei mai aspettato dal fare Pong è di essere seduto qui, 50 anni dopo, a parlarne ancora. Mi costò tre mesi di lavoro ma il segreto è che fu divertente!”
Con queste straordinarie parole inizia la nostra storica intervista con un personaggio consapevole di aver cambiato il mondo. Non perdetevi questo meraviglioso documento di Archeologia Informatica!
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TRASCRIZIONE INTERVISTA a cura di Francesco Di Muro
L’ultima
cosa che mi sarei mai aspettato dal fare qualcosa come Pong è essere seduto
qui, 50 anni dopo, a parlarne ancora. Mi costò tre mesi di lavoro, ma fu
divertente! Innanzitutto, mi fa
sentire un po’ vecchio ma sono davvero felice di essere ancora vivo! È un vero onore, solo pochi ingegneri sono stati capaci di
fare qualcosa che ha cambiato il mondo in modo così radicale. Sono stato
davvero fortunato ad essere tra questi.
Il mio interesse per l’elettronica iniziò
quando avevo 12 anni. Ho sempre desiderato diventare un ingegnere elettronico,
anche se non sapevo precisamente cosa facesse!
Quando vivevo a San Francisco, ad Haight-Ashbury, avevo un vicino di casa che
possedeva un negozio di riparazione per televisori. Andavo da lui dopo scuola
per imparare ad aggiustare TV e radio e poi ho avuto la fortuna di essere
ammesso all’Università della California, Berkeley e studiare presso una delle
migliori scuole di ingegneria elettronica del mondo. Fu difficile ma
affascinante. Poi ottenni un lavoro part time dove avrei lavorato per 6 mesi
per poi tornare a studiare per altri 6, e quel lavoro che ottenni per puro
caso era presso la Ampex, dove conobbi Nolan Bushnell. Nolan non era il migliore degli ingegneri, ma era
un buon ingegnere; aveva spirito imprenditoriale, gli piaceva assumersi rischi
e investire nel mercato azionario tra gli anni ‘60 e ‘70, quando la gente
normale non lo faceva abitualmente. Abbe questo fervore di creare un
videogioco che poi divenne Computer
Space basato su Spacewar! Lasciò
la Ampex per realizzarlo presso un’azienda chiamata Nutting Associates; questo
rapporto non durò a lungo, così lui è Ted Dabney decisero di andarsene e di
fondare una azienda tutta loro, la Syzygy. Vennero alla Ampex e mi portarono a
pranzo, per dirmi che gli sarebbe piaciuto che io mi unissi a loro. Mi
avrebbero pagato $1,000 al mese, che era meno di quello che guadagnavo alla
Ampex, ossia $1,200, ma sarebbe stato molto più divertente lavorare in un
piccolo team. All’epoca era piuttosto inusuale creare una startup, ma hey, a
Nolan venne l’idea di farmi fare questo
videogioco, così dissi “OK, vediamo come va…”. Eravamo solo in tre, non
avevamo soldi da investimenti, lavorammo velocemente e in tre mesi sfornammo
una versione funzionante di Pong e con mia grande sorpresa fu un successo. Fu
stupefacente che la che la gente ci giocasse davvero!
Personalmente, credo che i giochi semplici siano i migliori, ma il mercato è
cresciuto fino a produrre complessissimi giochi di ruolo. ma penso che nella
semplicità, nel ridurre tutto agli elementi base, risieda l’approccio
migliore. Al tempo era l’unico approccio possibile, ci accontentavamo anche
solo che funzionassero! Voglio dire, ci si poteva giocare solo se si era in
due giocatori! Pochissimi giochi all’epoca erano per giocatore singolo, era
necessario che vi fossero due giocatori. Per di più, poiché era così
elementare e sembrava estremamente intuitivo, piacque e fu giocato anche da
donne, e parliamo di tempi in cui i flipper erano “solo per uomini”. Questo, e il fatto che
cabinato (di Pong) era estremamente
essenziale, penso furono i fattori che incentivarono le donne a giocarci e battere gli uomini!
Personalmente, ho realizzato con le mie mani solo 3 giochi: Pong, Space Race e Gotcha, ma
sono ancora molto affezionato a Pong, per la sua essenzialità e popolarità.
Nolan credeva che un gioco più complesso
avrebbe riscosso un successo maggiore, così pensò che avremmo dovuto
realizzare un gioco di guida ma questo non me lo disse; mi fece realizzare il
gioco più semplice che gli veniva in mente così per farmi fare pratica per poi
cestinarlo. Mi disse che strappò un contratto con la General Electric e questo
mi spinse a lavorare duramente per farlo il più divertente possibile, e fu un
successo! Non avemmo più la necessità di creare un gioco di guida per almeno
un anno. Nel frattempo, divenni vicepresidente del reparto di
progettazione, con il compito di supervisionare e formare dei
team di ingegneri così che si potesse lavorare su più giochi
contemporaneamente.
Penso il primo gioco di guida, fu
tecnicamente impegnativo e divertente da giocare. Facemmo un ottimo lavoro in
fase di progettazione, anche perché non c’erano precedenti videogame su cui
basarci, pertanto ci furono numerose cose che dovevano essere inventate per
renderlo funzionante, come ad esempio lo sterzo e i pedali. Come forse saprai,
nel momento in cui inserivi una monetina nella macchina e questa te la fregava
avevi il diritto di distruggerla! Per questo motivo, i controlli dovevano
essere resistentissimi, e così li facemmo!
Verso la fine del 1976, l’Atari fu venduta alla Warner Communications; allo
stesso tempo, nel 1977, introducemmo il VCS. Le vendite andarono bene, ma poi
diminuirono gradualmente. Nolan, io e il resto della squadra capimmo che
avevamo un modo di lavorare ben oliato, per cui ci dicemmo “Progettiamo un
altro gioco, un gioco più bello!”, ma quelli della Warner ci dissero che no,
dovevamo prima pubblicizzare il gioco, e a ragione. Ci fu una bella lotta, ma
sostanzialmente ci cacciarono via, Nolan,
Joe… ma sapevano che non eravamo stupidi, per cui ci fecero firmare contratto
di non competizione: saremmo stati pagati per 7, anzi 4 anni dopo essercene
andati, per non andare al lavoro, paga completa, auto aziendale, ma non
dovevamo lavorare né per loro né per nessun altro! Andò così per circa 2 anni
ma poi… naaaaah! Così Nolan fondò
quattro-cinque aziende di cui una produttrice di coin-op, io ne misi in piedi
una per installare software in cartucce di videogiochi provviste di memoria
chiamata Cumma; questo nel 1983, proprio
quando il mercato collassò… Competemmo con la Warner e sostanzialmente la
sfidammo a denunciarci! Iniziò il ripido quanto triste declino della Atari,
mentre noi nel nostro piccolo inventammo diverse cose nuove, come ad esempio
uno dei primi navigatori interni per automobili, che venne realizzato dalla
Etak. Non ci guadagnai moltissimo, ma l’ultima volta l’azienda fu venduta per
2 miliardi di dollari, e a noi che la
fondammo non entrò nemmeno un centesimo nelle
tasche! Fummo troppo frettolosi, ma fu proprio divertente!
Ho avuto la fortuna di riuscire a creare innovazioni disruptive in diversi
campi, e non a tutti gli ingegneri viene offerta la possibilità di farlo. Dopo
che Steve Jobs lasciò la Apple, mi fu offerta una posizione presso l’azienda
per fare ricerca; fu un’esperienza molto gratificante poiché, anche se non
sono un vero e proprio ricercatore, avevano uno dei migliori team con cui
avessi mai potuto lavorare. Ebbi la
possibilità di lavorare in campo multimediale e inserire video nei computer:
fummo tra i primi a sviluppare modi di trasformare in dati film, suoni e
immagini, QuickTime… fu davvero gratificante perché al tempo l’amministrazione
alla Apple – John Sculley, Jean-Louis Gassée–
erano convinti che fosse un’idea idiota, ma poi fu magnifico, perché Apple era
una grande azienda, c’erano avvocati e responsabili del marketing a dirmi cosa
potevo fare e cosa no… ma quando se ne andarono, fummo liberi di fare tutto
ciò che volevamo perché non era importante! E
avevamo questo computer della Cray, il più veloce dell’epoca, con cui
smanettare. Trasformammo questa immensa macchina in un personal computer, Cray
ne fu scioccato! Dal punto di vista professionale,
per me fu emozionante rivoluzionare quel tipo di industria e a causa di ciò
adesso internet è intasato di filmati di gattini, cuccioli… e il mondo è un
posto migliore. Successivamente misi in piedi altre aziende: una delle più
interessanti fu la Silicon Gaming che produceva slot machines, che venivano
assemblate alla Silicon Valley e trasportate a Las Vegas. Fino alla fine degli
anni ‘90 le slot machines erano costituite da cilindri “fisici” che giravano
dietro un vetro, sai, frutti, campane… questo non era molto accattivante,
voglio dire, erano le proposte di gioco, rendiamole più coinvolgenti, facciamole sotto forma di video! Prendiamo ad esempio un
gioco di carte: animammo un illusionista che dava le carte, era magnifico! E
se non sceglievi le carte in fretta le sue mani facevano… come per dirti “Dai,
muoviti!”. Se qualcosa si fosse rotto la macchina l’avrebbe comunicato…
Rivoluzionammo quel settore perché prima di noi questo non si poteva fare, la
tecnologia di allora non lo permetteva. Noi scardinammo le regole e da allora
quasi tutte le macchine sono video e sfruttano il brevetto Alcorn!
Credo che l’ultimo che abbia visto fu Tetris,
molto essenziale ma allo stesso tempo profondo, senza il bisogno di leggere
istruzioni… Purtroppo ai giorni nostri per produrre un videogame di successo
occorrono almeno un centinaio di persone e budget milionari, e si teme di
produrre qualche stupidata poiché rischioso, perciò penso che sia diventato
estremamente difficile, a meno che non lo si realizzi su queste piattaforme,
che hanno facilitato piccoli sviluppatori a provarci, capito? Ma per quanto
riguarda le major, sono basito. Una volta a un’intervista mi chiesero:
“Chi compose la musica per pong?” “Io!” “Chi realizzò
la grafica?” “Io!” Feci tutto io! Una persona poteva realizzare
da sola un intero gioco, e fu così per almeno un anno, poi ci fu bisogno di
più persone. Sfortunatamente, oggi è diventato più rischioso produrre un
videogame tripla A rispetto a un film,
davvero un peccato… Sono stato alle fiere più importanti dove centinaia se non
migliaia di videogiochi cercano di attirare l’attenzione, ma solo pochi ci
riescono. Io stesso non ci proverei, ma quando lo feci ero il migliore del settore, anche perché ero l’unico! Questo è il mio
segreto!
Penso che sia di grande importanza preservare la storia. La rivoluzione
informatica, che include anche i videogiochi, ha cambiato il mondo forse anche
di più rispetto alla rivoluzione industriale, e avere la possibilità di
raccogliere testimonianze dalle persone che la fecero mentre sono ancora in
vita e preservarle avrà un valore inestimabile tra un secolo a questa parte,
pertanto, sono un grande sostenitore di questo. Dove vivo, alla Silicon
Valley, abbiamo il museo della storia informatica. Li tengono in esposizione
il prototipo originale di Pong donato da me insieme ad altri prototipi, inoltre viene narrata oralmente la
storia di quanto esposto. È importantissimo che facciano questo e ne sono
davvero lieto, come sono lieto che venga fatto lo stesso in altri posti del
mondo, e penso che i giovani debbano vedere queste cose, capire come venivano
realizzate e rendersi conto che c’è stato un tempo precedente agli smartphone,
in cui le cose venivano fatte diversamente.
Sì, penso che ci sia bisogno di vedere come le cose si sono incasellate, e un
buon museo dovrebbe spiegare la catena di eventi, così quando ci si trova
d’avanti al prototipo originale di Pong si possa apprezzare quanto fosse semplice ed essenziale. Diede inizio a un
settore industriale, sono stupito, ancora non riesco a crederci. Sono sicuro
qualcun altro l’avrebbe comunque fatto, ma sono contento di essere stato
io quel qualcun altro.
Non lavoro avendo in mente quello che già
esiste. Forse con le slot machine, la sfida fu quella di realizzare una
macchina chi si adattasse all’ambiente, ma in un modo completamente nuovo.
Sono stato abbastanza fortunato della possibilità concessami di realizzare
innovazioni disruptive che hanno cambiato l’industria. Non ho mai… Infatti
sono abituato a iniziare con un team: finanziatori, forse qualche altro
tecnico che mi dica “Ecco, vogliamo questo.”,
così che io cerchi di capire come concretizzare
quell’idea, e realizzare qualcosa mai fatto prima.
Ho sempre preferito lavorare in squadra, avere intorno persone più brillanti
di me, e mi ci è voluto un po’ per capirlo. Ho avuto la fortuna di ingaggiare
questo ragazzo di diciotto anni, Steve Jobs,
uno straccione di hippie, ma che aveva passione! Ed è per questo che lo assunsi,
perché aveva tanto entusiasmo e passione. Lui è il suo amico Woz(niak)
provarono a venderci l’Apple 2, e noi ci rispondemmo “No, nessuno vorrebbe
scrivere il proprio software!”, allora si mise in proprio e lo presentammo al
nostro finanziatore Don Valentine. Quest’ultimo tornò e mi disse “Al, ma sono
in un garage!” così che gli risposi “Beh, non è così che iniziò la
Silicon Valley, in un garage?!” “Sì, ma nel loro garage hanno
un’automobile, una lavatrice… Trovategli un posto migliore!”, ma andò tutto
per il meglio!
Quando realizziamo Pong e Computer Space, notammo che la
tecnologia basata su chip stava raggiungendo vertici tali da permetterci di
creare immagini video in tempo reale. All’improvviso questo fu possibile, e
Nolan ebbe l’idea di sfruttare questo per farci un gioco. Con il passare del
tempo, i videogiochi divennero la motivazione per i produttori di
semiconduttori per creare chip che li supportassero. Prima di ciò, ci
limitavamo a scremare e prenderci il meglio di quello che esisteva là fuori.
Tutto d’un tratto, eravamo noi a porre problemi, ad esempio, inserire video in
tempo reale, e necessitavamo di chip speciali, e le aziende competevano per
realizzarli perché noi li comprassimo. Divenne la guida dello sviluppo
tecnologico, e la tecnologia lo consentiva. Inoltre, con i nuovi chip chiunque
poteva realizzare videogiochi. Infatti, ogni tot mesi mi capita di fare da
tutor a ragazzini di 12 anni nello scrivere Pong in un paio d’ore, cosicché possano poi giocarci e battermi!
Poiché adesso è facile crearli, è divenuto possibile impiegare i videogiochi
in medicina, formazione e altri scopi. È l’evoluzione tecnologica che ne ha
permesso lo sviluppo.