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L’epica battaglia di “armani.it”


La recente scomparsa del “Re” Giorgio Armani, l’ultimo e forse il più importante dei grandi stilisti italiani che hanno caratterizzato ed influenzato la moda mondiale degli ultimi cinquant’anni, sta indubbiamente creando un notevole rumore mediatico, ma molti di voi probabilmente non si sarebbero mai aspettati di trovare un articolo dedicato ad Armani su Archeologia Informatica!

Per quanto possa sembrare strano invece Armani è legato ad un avvenimento della storia dell’informatica e per essere più precisi della storia del World Wide Web italiano, il protocollo ipertestuale HTTP che ha reso popolare la rete Internet e che ne è diventato praticamente sinonimo.

Nel panorama italiano infatti, agli albori del www, una vicenda legale catturò l’attenzione e acceso il dibattito su chi dovesse prevalere nel mondo dei nomi di dominio: il “first come, first served” o il diritto al marchio. Stiamo parlando della diatriba tra Luca Armani, titolare di un timbrificio a Treviglio, e la ben più nota Giorgio Armani Spa, per il dominio armani.it.

Era il 1997 quando il signor Luca Armani, lungimirante per l’epoca, decise di creare un sito-vetrina per la sua piccola attività, il Timbrificio Luca Armani. Registrò il dominio armani.it, essendo ovviamente questo il suo cognome. Pochi mesi dopo, la Giorgio Armani Spa, desiderosa di sbarcare online, si trovò la strada bloccata: il dominio che intendeva utilizzare era già di proprietà del signor Luca.

La multinazionale della moda propose un accordo economico in cambio del dominio. Luca Armani, tuttavia, ritenne l’offerta troppo bassa e rifiutò. Questa reazione portò la Giorgio Armani a intraprendere le vie legali, dando il via a uno dei primi processi italiani legati al diritto industriale e dei marchi su Internet, una vera e propria “guerra informatica” durata sei anni.

La sentenza del Tribunale di Bergamo arrivò nel 2003 e diede ragione alla multinazionale. Il tribunale, ribaltando il principio del “first come, first served” spesso applicato all’epoca per i domini, ritenne applicabile la disciplina del marchio registrato. Secondo la decisione, il marchio registrato attribuiva l’esclusiva non solo sull’uso del marchio ma anche sul nome di dominio correlato.

Le motivazioni furono chiare:

  • Il tribunale ritenne che Luca Armani, pur avendo a disposizione molti altri domini, avesse scelto quello che poteva creare confusione negli utenti, che digitando “armani” si sarebbero aspettati il sito dello stilista, non di un timbrificio.
  • Essendo il marchio della Giorgio Armani Spa un marchio notorio, il rischio di confusione era evidente.
  • La sentenza condannò Luca Armani a pagare 13.526 euro più IVA alla Giorgio Armani Spa, a pubblicare la sentenza su Corriere della Sera e Internet Magazine, e a pagare 5.000 euro al giorno per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione.
  • La titolarità del dominio fu tolta a Luca e girata a Giorgio. Luca Armani fu inibito dall’uso della parola “Armani” come nome a dominio se non accompagnata da altri elementi idonei a differenziarlo dal marchio.

Nonostante la sentenza avesse una base legale solida per l’epoca, il “popolo della rete” insorse, percependo la decisione come un sopruso. Luca Armani non si sottomise, annunciando ricorso in Appello e intraprendendo uno sciopero della fame, esprimendo la sua protesta con una lettera aperta.

La vicenda si risolse alla fine con una nuova transazione economica: la Giorgio Armani propose a Luca Armani 150.000 euro, cifra che questa volta fu accettata, chiudendo così la disputa legale.

A distanza di oltre dieci anni, Luca Armani, ormai pensionato, non ha ancora del tutto “seppellito l’ascia di guerra”. Ha espresso il desiderio di presentare una nuova denuncia, sperando che i cambiamenti nel diritto in questi anni possano portare a una sentenza diversa, cercando una regola che valga per tutti e non si basi sulla discrezionalità di un giudice.

Tuttavia, esiste un ostacolo legale significativo: il principio del “ne bis in idem”, che impedisce a un giudice di esprimersi due volte sulla stessa azione se la questione è già stata giudicata. Pertanto, riaprire la diatriba richiederebbe un’attenta valutazione da parte dei suoi avvocati.

Quello che rimarrà nella storia è che la vicenda del dominio armani.it sarà ricordata come esempio emblematico delle sfide legali poste dall’intersezione tra i diritti di proprietà intellettuale e l’evoluzione portata dalla tecnologia con l’avvento di Internet e del World Wide Web.



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Carlo Santagostino
Una vita per l'informatica. Ho imparato a programmare all'età di 12 anni (1982) e non ho più smesso.

Carlo Santagostino

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